domenica 5 ottobre 2008

Dollaro d'onore (Un)

Un dollaro d'onore di Howard Hawks. USA, 1959. Interpreti: John Wayne, Dean Martin, Angie Dickinson, Walter Brennan.



Enzo 30 giugno 2007

Essendo stato chiamato immeritatamente in causa su questo film mi permetto di intervenire aprendo un nuovo post.
Un dollaro d’onore l’ho visto al cinema quando uscì e rivisto enne volte in tv e mai una volta che il piacere è venuto meno. Un film perfetto. Perfetto nella storia, nei personaggi, nella recitazione (tutti gli attori concorrono in egual misura in una competizione espressiva di alta qualità), nell’ambientazione. Non è un western dei grandi spazi, di cavalcate, è un film che intreccia sapientemente la psicologia dei singoli personaggi in una trama anomala descrittiva della saga western. Anomala per l’ironia che lo attraversa, ma in cui contorni classici del western non necessitano di alcuna narrazione. Tutto è predefinito e lo spettatore lo sa: quello che conta è la storia è l’intreccio delle psicologie. Gli stereotipi western sono racchiusi in un vaso di fiori dai mille colori: c’è la cittadina ai confini con Messico in cui la legge del più forte resiste all’avanzata della “giustizia/stato” che però è ancora lontana diversi giorni di cavallo, c’è lo sceriffo che presidia una legalità scevra da fronzoli che non ammette cedimenti nemmeno quando il male sembra più forte e vincente. Tutto questo non ha necessità di descrizioni: lo spettatore lo sa già e rivolge l’attenzione allo svolgersi degli eventi. Eventi racchiusi in un microcosmo che ha bisogno solo di alcune scenografie confezionate in studio: la strada principale, il saloon, l’albergo, l’ OK Corrall, tutto il pathos del film nasce cresce e trova la conclusione qui dentro. Il film appartiene al periodo maturo del western, qui non c’è la narrazione del mito della frontiera, non c’è la narrazione della conquista, della nascita di una nazione, c’è appunto l’ironica narrazione degli stereotipi del western e per certi versi la sua messa in discussione. John Wayne che apparentemente reinterpreta l’ennesimo personaggio del giustiziere che tutto sistema in realtà gioca a smontare se stesso. E per la prima volta lo vediamo innamorato di una donna reale in carne ed ossa, innamorato come un qualsiasi uomo e che combatte una battaglia già persa in partenza con una donna. E’ qui che sbaglia Manuela, in realtà questo è il sovvertimento dello stereotipo. Certo l’omosessualità latente attraversa tutta la cinematografia western e qui Howard Hawks non si sottrae affatto, anzi. Incastra i personaggi in modo tale da creare appunto un grumo di “amicizie particolari” da cui le donne sono escluse: Chance si fa picchiare da Borachon senza reagire ed è disposto a cedere al cattivo pur di salvarlo. Salvarlo dalle donne e dal disonore. Il vecchio Stumpy gode nel sopportare ogni (presunta più che reale) angheria da parte degli amici pur di poterli (da vecchia checca) coccolare. Poi c’è Colorado che non resiste al fascino di questi uomini e smette di stare a guardare rinunciando alla vita normale di un giovane che dovrebbe coltivare ben altre amicizie. Non si può non vedere questa omosessualità esibita, ma il risultato è eccezionale e proprio nella narrazione di questo intreccio raggiunge le punte più alte: come il bacio di Chance sulla testa di Stumpy, o il litigio tra lo Stesso Stumpy e Borachon, ma il culmine è raggiunto nella scena in cui i quattro, baraccati dentro la prigione, si mettono a cantare Rio Bravo. Assolutamente perfetta. Sarebbero tanti altri gli stereotipi di cui parlare ma è bene che mi fermi qui.
Dunque, per finire, stereotipi rivisti reinterpretati per parlarci di un genere western che ormai ha poco da aggiungere e da dire. Il mito si fa intreccio ironico, si fa narrazione di se stesso, quasi ad annunciare una fine molto vicina. Infatti l’inquadratura finale si chiude sulle calze di Feathers che gettate dalla finestra perché Chance ha capitolato e lo sceriffo sarà come tutti gli altri: un uomo inscimunito dall’amore. Dude 'Borachón' e Stumpy che raccolgono la calza se ne vanno con una risata. Appunto all’America non rimane che ridere di se stessa: l’età della conquista è finita, c’è altro a cui pensare.

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